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Silvia Alessi e Roberto Tomelleri ospiti del GFA

21 Gennaio 2019 @ 21:00 - 23:00

Chi siamo

Sono Silvia Alessi di Bergamo, di professione hair stylist e make up artist, appassionata di viaggi e fotografia. Il mio compagno di viaggio è Roberto Tomelleri di Verona, laureato in filosofia e lavora in Coldiretti. Insieme viaggiamo per il mondo alla ricerca di storie da raccontare. Questa passione ci ha portati a Papua a condividere un’esperienza con la tribù dei korowai (una delle ultime tribù conosciute, avvicinata per la prima volta solo negli anni ’80) e in Afghanistan in mezzo ai nomadi kirghizi del Pamir. L’ultimo progetto, realizzato nel 2018, ci ha portati a realizzare scatti  artistici con i soldati Peshmerga del Kurdistan meridionale (in Iraq), e a raccontare la straziante storia degli Yazidi.

Oltre a tenere insieme delle serate in cui raccontiamo i viaggi e mostriamo le foto, ho avuto anche dei riconoscimenti per le fotografie: honorable mention al concorso internazionale IPA 2017, pubblicazione sul National Geographic Italia di una foto dell’Afghanistan nel marzo 2018, pubblicazione sulla rivista indiana Creative Image diretta da Raghu Rai – fotografo Magnum – di una foto di Bhopal nel marzo 2018, remarkable art work al SIPA di Siena 2018, 3° posto al Paris PX3 2018 categoria stampa, 2° posto al MIFA di Mosca 2018 categoria people, premio TCI al concorso Vite in Viaggio di Verona. Ho anche allestito delle mostre fotografiche alla Biblioteca Caversazzi di Bergamo, al Centro Culturale Thirta di Pescantina (VR), al Comune di Arcene (BG) e al Comune di Scanzorosciate (BG).

Tra gli altri lavori verrà presentato

Il progetto Skin

Si tratta di un racconto per immagini che ha per oggetto la pelle in India. Il progetto è stato realizzato nel 2017 a Delhi, Agra, Bhopal e Mumbai. Il progetto nasce nel momento in cui, nel mezzo di una ricerca sull’India, ci imbattiamo – su Instagram – nella foto di una ragazzina albina, di nome Namira, in un treno suburbano di Mumbai. Si tratta di un bellissimo angelo ritratto da una fotografa indiana che è solita postare foto di soggetti incontrati sui treni. Ce ne innamoriamo perdutamente, e cerchiamo di avere maggiori notizie di lei. Purtroppo non otteniamo risposte dalla fotografa, subito contattata. Seppure di fronte all’impresa di cercare una persona di cui conosciamo solo il nome in una città da 21 milioni di abitanti, non ci perdiamo d’animo. Di lei sappiamo anche che riesce a vedere solo di notte; infatti gli albini hanno quasi sempre problemi di vista. Da qui ha dunque inizio il progetto, che nasce come una sorta di “Alla ricerca di Namira”, ma si sviluppa presto in altre ramificazioni. Gli albini possiedono un grande fascino visivo, una bellezza particolare, però sono emarginati, vittime di pregiudizi e di scherno, a causa della loro pelle, e non sono facili da avvicinare. Sono timidi e diffidenti, le donne sono tormentate dalla paura di non riuscire a sposarsi. Questo destino di emarginazione colpisce anche le donne vittime di una forma di violenza particolarmente odiosa, molto diffusa nella subcultura indiana: l’attacco con l’acido. Spesso per motivi futili, le donne vengono in questo modo punite da persone conosciute (quasi mai da sconosciuti): sfregiate per sempre, quasi uccise, e reiette dalla società. La loro pelle viene sciolta, e se non si interviene in tempo, arrivano a perdere la vista e l’udito. Qualche passo in avanti è stato fatto negli anni per cercare di arginare il fenomeno, ma ancora rimane diffuso, a causa della facilità con cui si reperiscono negli empori gli acidi, della sensazione di impunità da parte dei carnefici, e della condizione di sostanziale inferiorità della donna. Ora, diverse donne che hanno subito l’attacco e che ne porteranno per sempre i segni sulla pelle vogliono alzare la voce e farsi sentire. Sono le cosiddette combattenti, testimoni che parlano ai media e al pubblico girando il paese per raccontare la loro storia. Non vogliono essere chiamate vittime, ma sopravvissute. Ne abbiamo conosciuto tante, grazie ai social media. In particolare ci siamo imbattuti in un’impresa meritoria ad Agra, la città del Taj Mahal, dove è sorto un caffè (lo Sheroes Hangout) gestito interamente da ragazze che hanno subìto questo genere di violenza, le quali con fierezza si mostrano e rendono testimonianza della loro condizione. In questo modo hanno recuperato piena dignità, quella che i loro aguzzini avevano voluto togliere loro. Un terzo sviluppo del progetto ci ha portati a Bhopal, città del Madhya Pradesh, nota per il disastro chimico del 1984. Sull’incidente, causato dalla fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile dalla fabbrica di fitofarmaci della Union Carbide, che uccise in una notte almeno 4.000 persone (ma nel tempo molte di più), molto si è scritto. Meno noto è il cosiddetto secondo avvelenamento. I rifiuti tossici della fabbrica dismessa non sono mai stati rimossi e il terreno tutto intorno non è mai stato bonificato, con la conseguenza che il suolo e le falde acquifere sono state contaminate. Diversi studi hanno mostrato che nell’area circostante la fabbrica l’incidenza di malattie (cancro, danni al sistema nervoso, al fegato, ai reni) è tuttora di molto superiore alla media del Paese. Con l’aiuto prezioso e insostituibile di diversi amici che hanno collaborato con cliniche e fondazioni della città, siamo entrati in contatto con alcune famiglie che hanno figli colpiti da malattie legate a questa contaminazione. Siamo stati accolti nelle loro case (a volte povere, a volte poverissime), ottenendo il permesso di ritrarre i ragazzi, dopo un periodo di reciproca conoscenza, senza forzature. Sono state giornate particolarmente intense, dalle quali è scaturito un reportage artistico che è anche una denuncia dell’attuale condizione di Bhopal. Altre ramificazioni del progetto ci hanno portati in una piccola comunità di transgender di Bandra, un sobborgo di Mumbai. Una piccola famiglia di hijra (così sono chiamati, con una punta di disprezzo), musulmani, che vivono in una lurida topaia, e che abbiamo ritratto durante il trucco e il relax. Infine una giornata con alcuni giovani lottatori di Kushti, un’antica disciplina di lotta sulla sabbia. Appena arrivati nella vecchia e cadente palestra dove si allenano, stavano dormendo come bimbi prima di essere svegliati dall’allenatore. Abbiamo documentato con scatti creativi i momenti del riscaldamento, degli esercizi e della lotta vera e propria.

 

Qui alcune foto dello Skin Project:

https://www.lensculture.com/silvia-alessi

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Data:
21 Gennaio 2019
Ora:
21:00 - 23:00
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