Bianco e oscuro. Storia di panico e di fotografia
Romanzo di Simona Guerra
Edizioni Postcart
L’ultimo romanzo che avevo letto, nel quale la fotografia aveva un ruolo importante era stato quello di Jonathan Coe “La piaggia prima che cada”. Lì un album di fotografie di famiglia è il pretesto e il filo conduttore di un romanzo avvincente. E sul ruolo e l’importanza degli album “di famiglia” nella storia della fotografia e sul loro valore simbolico e identitario ci sarebbe molto da dire; per i più curiosi rimando al contributo che Elisabeth Siegel ha scritto all’interno del primo volume sulla storia della fotografia che sta curando Walter Guadagnini per l’editore Skira.
Qui si tratta di un romanzo davvero particolare: la protagonista (Alma) è un’archivista di fotografia che in seguito alla sempre maggiore difficoltà di controllare i suoi attacchi d’ansia, fa una vita sempre più ritirata, riducendosi a frequentare solo l’archivio per cui lavora e a scambiare sporadicamente messaggi on-line con un fotografo che sta facendo un reportage su un ospedale psichiatrico in Albania.
“…vedo il mondo con gli occhi dei fotografi… ma io sono un’archivista, per mestiere ordino, conservo… “ racconta a un certo punto la protagonista, quasi a contrapporre questo suo lavoro agli attacchi di panico sempre più frequenti e sui quali ha sempre meno controllo.
Il dialogo con il fotografo, attraverso le e-mail procede a tratti, il fotografo racconta della sua stanchezza, il senso di esaurimento ad essere a contatto con persone devastate, abbandonate da un sistema che non ha intenzione di spendere soldi per prendersi cura di malattie difficili da capire.
Su questo crinale, della malattia mentale come lato oscuro della vita, si dipana il romanzo e alla fine il fotografo chiuderà il suo servizio per volare in Argentina a fare altre foto per una Onlus; il romanzo riserva alcuni colpi di scena e si avvia al finale che naturalmente non svelo.
Il linguaggio scorre felice e alle pagine scritte si avvicendano delle fotografie molto belle di Giovanni Marrozzini, scattate nel 2008 in Albania all’interno di un ospedale psichiatrico. L’associazione e la domanda viene spontanea: sarà lui il fotografo di cui si parla nel romanzo?
E davvero la fotografia diventa una sorta di “terapia” in grado di aiutare le persone? L’autrice (tra l’altro nipote di Mario Giacomelli) sostiene essere pura invenzione. Ma, ammette che il panico della protagonista è un’esperienza che anche lei ha vissuto, così come anche lei fa l’archivista.
Le foto di Marrozzini, stampate a colori, anche se in piccolo formato da sole meritano l’acquisto del libro. Ma anche il racconto, a tratti un po’ didascalico, si lascia leggere e in queste giornate di festa, riflessioni sull’anno passato e quello che verrà, può risultare una lettura intrigante.
Buona lettura, Massimo
Grazie Massimo per l’interessante e avvincente segnalazione.
grazie molte e Buon Natale
Affascinante, grazie Massimo
Non mi basta il tuo commento …. perciò vado a comprarmi il libro.
Auguri carissimi. Beppe
Interessante il tuo messaggio! C’è da pensare e riflettere.
A te e Donatella i miei Auguri di Buone Feste e un Felice 2014
Francesca P.